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65. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. And the winner is...

ConSequenze
[img_assist|nid=14517|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]VENEZIA - Uno spot tv di qualche tempo fa ha martellato il nostro sub-conscio per mesi con lo slogan “il cuore ha sempre ragione”. Parafrasando quel motto siamo felici di constatare come a Venezia 2008 il cuore abbia finalmente avuto ragione.

Dopo Brokeback Mountain, Still Life e Lussuria, dopo anni di Leoni della Ragione consegnati a film raffinati, colti, tanto indiscutibilmente d’essai quanto faticosamente fruibili in sala, la 65a Mostra del Cinema di Venezia incorona re del festival The Wrestler di Darren Aronofsky.[img_assist|nid=14518|title=|desc=|link=none|align=right|width=287|height=220]

Ancora un outsider, ancora una volta un insospettabile: l’anno scorso tutti gridarono al capolavoro Cous Cous, per poi stupirsi del trionfo di Ang Lee; quest’anno, mentre i giurati votavano (non senza contrasti, John Landis alla premiazione finale ha lanciato un anatema contro l’indisponente Johnnie To), per le vie del Lido si tessevano le lodi del Ponyo di Miyazaki e dell’etiope Teza. Bocciato il maestro nipponico (un’animazione ineccepibile come sempre sorretta però da un plot troppo infantile e sempliciotto), salvato in corner il film di Haile Gerima, che porta a casa il Premio Speciale della Giuria.

Già, la giuria: Wim Wenders ci è parso un presidente onnipresente e consapevole, solido nel governare i contrasti coi compagni di lavoro e coraggioso nell’ascoltare le ragioni del cuore prima di tutto. Un leader così lo vorremmo ogni anno, perché ci ha dato la netta sensazione di poterci fidare del suo operato. Anche se vestito da carabiniere come l’ultima sera (completo nero con strisce rosse laterali!), anche se inopinatamente munito di cappotto grigio lungo nella calura veneziana, anche se così clamorosamente somigliante a Gigi Marzullo. O forse ci piace proprio per questi suoi vezzi.

The Wrestler, dunque: sul palco oltre al regista Aronofsky sale anche Mickey Rourke, eroe imprescindibile di questo doloroso e dolorante film, maschera di sofferenze passate e di gloria beffarda sul tempo che passa e su una carriera data per troppe volte al capolinea. Una gloria smorzata dal mancato riconoscimento come Miglior Attore (ma l’Oscar è vicino, caro Mickey), andato al Silvio Orlando di Il papà di Giovanna, unica opera italiana in concorso (erano 4) degna erede dei trionfi francesi di Gomorra e del Divo.

[img_assist|nid=14519|title=|desc=|link=none|align=left|width=339|height=191]Coppa Volpi per la Miglior Attrice a Dominique Blanc, protagonista del trascurabile L’autre, trascurabile come Nuit De Chien dell’anziano Werner Schroeter, Leone Speciale per l’insieme dell’opera.

Leone d’Argento (Miglior Regia) al russo Soldato di Carta di Aleksei German, storia – un po’ snobbata, ma potrebbe rifarsi in sala – di un medico che assiste i primi astronauti della Russia sovietica. Agli altri sono rimaste le briciole: il premio come Miglior Attrice emergente alla Jennifer Lawrence di The Burning Plain, il clamore positivo suscitato da Hurt Locker della Bigelow e da Rachel Getting Married di Demme e quello negativo provocato dai vari tonfi della kermesse, di cui nominiamo capofila il pasticcio francese Inju.

Fine dei giochi. E fine dello sport nazionale preferito in questi giorni di fine estate: il tiro alla Mostra del Cinema. Ovvero l’eterna tiritera delle critiche e dei massacri mediatici, che mettono in croce Muller e i suoi collaboratori spesso preventivamente e per partito preso. Come se organizzare un festival di respiro internazionale fosse la cosa più naturale e facile del mondo. E allora ci piace immaginarlo così, il direttore artistico della Mostra: chiuso in un angolo del ring, colpito e offeso da più parti. Ma capace orgogliosamente di rialzarsi ad ogni ingiuria, ad ogni schiaffo. Come il Mickey Rourke di The Wrestler.