Stagione Teatrale 2011-2012 - L'altro teatro al Teatro Camploy
La morsa
epilogo in un atto di Luigi Pirandello
con Sandro Lombardi, Sabrina Scuccimarra, Arturo Cirillo
regia Arturo Cirillo
Compagnia Sandro Lombardi
La morsa di Luigi Pirandello, un testo classico rivisitato da due grandi attori con, accanto a loro, Sabrina Scuccimarra. Un epilogo in un atto dove sono messi a nudo i grovigli della concezione borghese del matrimonio. La morsa del titolo è quella stretta interrogazione che un marito fa a una moglie che lo tradisce. Ma soprattutto la condizione fisica e mentale nella quale tutti e tre i personaggi della vicenda (lui, lei e l’amante) sono compressi, costretti.
Sarà una particolarissima rilettura della Morsa di Luigi Pirandello a inaugurare, venerdì 2 dicembre alle 20.45 al Teatro Camploy, la rassegna L'altro teatro organizzata dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Verona in collaborazione con Arteven e con il sostegno della Regione del Veneto e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. A rivisitare questo classico testo pirandelliano saranno Sandro Lombardi e Arturo Cirillo (che cura anche la regia) con, accanto a loro, Sabrina Scuccimarra.
Da tempo, con la sua compagnia, Sandro Lombardi ama incontrare attori, registi o coreografi con cui confrontarsi. Con David Riondino il confronto è stato su Dante, con Iaia Forte su Testori, con Virgilio Sieni su Pasolini e con Roberto Latini su Pirandello. È ora la volta di un altro Pirandello. Il confronto questa volta è con Arturo Cirillo che affiancherà Lombardi nel dare vita ai due dei protagonisti della Morsa, rispettivamente l’amante e il marito di Giulia.
Sandro Lombardi torna dunque al grande drammaturgo siciliano dopo avere interpretato, nel 2007, Cotrone nei Giganti della montagna con la regia di Federico Tiezzi e dopo essersi cimentato, nel 2010 con la regia di Latini, con L’uomo dal fiore in bocca.
«Pirandello – dice Lombardi – venne considerato in vita più un filosofante che un artista, più un pensatore capace di inventare spietati grovigli psichici che un creatore di intrecci scenici. In realtà egli seppe dire una parola originale e unica proprio relativamente alla realtà teatrale. Nella sua “stanza della tortura” (così Giovanni Macchia definisce felicemente il nucleo del teatro pirandelliano) si mettono a nudo gli esseri umani, i loro sogni, i desideri, le sconfitte, i rimorsi, le rivendicazioni impossibili o, come nel caso della Morsa, i grovigli della concezione borghese del matrimonio. Una delle ragioni dell’attualità di Pirandello sta anzitutto – conclude Lombardi – nell’aver affrontato la crisi del teatro e averne allontanato la distruzione».
«La morsa di Luigi Pirandello – aggiunge Arturo Cirillo – è la messa in scena di quanto di più atroce, e forse ovvio, la famiglia riesca a produrre. La morsa non è solo quella stretta interrogazione che un marito fa a una moglie che lo tradisce, ma è una condizione fisica e mentale nella quale tutti e tre i personaggi della vicenda (lui, lei e l'amante) sono compressi, coatti e costretti. Centro della vicenda è l'ipocrisia della media borghesia italiana, come solo Pirandello è in grado di descriverla e di farla parlare: con quella lingua tutta allusiva, sospesa, sincopata. Appare un mondo di mediocri, incapaci di grandi sentimenti e generosità. Parlando delle novelle del primo Novecento italiano Alfonso Berardinelli ha scritto: "Siamo sempre lì. Il marito, la moglie, l'amante, la cameriera, la portinaia, la suocera, i parenti, i mobili (quanti mobili da incubo in questi racconti!), l'aridità, la grettezza ma soprattutto l'eterno problema delle corna". Siamo di fronte – prosegue Cirillo – a una tragedia del vuoto in cui i personaggi si esprimono attraverso una recitazione immedesimata e straniata allo stesso tempo. Una comune tragedia famigliare che si consuma in una stanza di una casa di provincia viene raccontata attraverso un insieme si oggetti rinchiusi in umide bacheche e diviene lo specchio di una condizione umana e sociale appassita e mummificata. Una terra di paludi ora bonificate, che fanno sentire il loro suono attraverso canne mosse dal vento e animali della notte, dove sembra però che il ristagno delle acque sia diventato – conclude Cirillo – quello dei sentimenti, il pestifero acquitrino delle colpe e delle condanne, che gli uomini inventano per punire se stessi».