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Fare a meno dell'esperienza? Si può, almeno in politica

ControLuce

[img_assist|nid=4782|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]Articolo 5° - chi ha la cassa ha vinto.  Tra le varie altre cosette, il sottoscritto ha alle spalle sei anni di attività sindacale a tempo pieno. L’aforisma di cui all’incipit me lo insegnò il mio primo Segretario, stabilendo così un collegamento strettissimo tra attività sindacale e politica.

La verità dell’assunto sta nel fatto che chi ha la cassa, ossia la carica, oltre ad avere la gestione delle risorse economiche ha la gestione di quelle logistiche, e quindi può mettere in atto tutta una serie di strategie spesso borderline rispetto agli statuti – tra cui l’indizione di assemblee mirate, convegni mangerecci per ingraziarsi l’elettorato, promesse di risoluzione di bisogni personali, invio ritardato di convocazioni per riunioni importanti agli eventuali dissidenti o aspiranti tali (perché con questi sistemi, è difficile persino che riescano a manifestarlo, il dissenso…).

Alla luce di questa esperienza, è con vivo entusiasmo che apprendo la notizia della norma elettorale regionale che impone ai sindaci in carica che vogliano candidarsi a competizioni superiori di dimettersi con tre mesi di anticipo rispetto alla data delle elezioni. 

Come è facilmente intuibile, questa norma, passata con quello che è stato definito praticamente un golpe ha suscitato un coro di ripulse bipartisan – personalmente ho notato le opinioni di Micaela Sette, del sindaco di Torviscosa Duz, di Gherghetta, di Renzo Travanut e, in testa, del Governatore regionale Riccardo Illy. Di questo, trovo assolutamente risibile l’opinione secondo la quale in questo modo si depaupera in maniera grave di soggetti di provata esperienza amministrativo il panorama politico regionale.

Bisogna fare alcune considerazioni.  In un’ottica soft, ad esempio, dobbiamo dire che l’esperienza è, per definizione, dote che si acquisisce sul campo. Se i Soloni si arroccano e arrogano a sé tutte le posizioni di potere, nuove leve amministrative difficilmente possono acquisire l’esperienza tanto importante. Basta che “esperienza” non sia un delicato eufemismo per significare “agganci” necessari al mantenimento delle posizioni di cui, appunto, all’Articolo Quinto.

In tempi di Tangentopoli, mi capitò di intervistare personaggi politici non coinvolti in scandali-corruzione ma che accentravano su di sé incarichi di nomina politica che sfioravano la doppia cifra: CdA di aeroporti, banche, istituti di investimento, consorzi per l’assistenza e quant’altro, solitamente pretendati, il tutto con nessuna preparazione specifica ma tanta “esperienza” e contatti politici – per definizione, ovvio. E in tempi di Tangentopoli, tali accentramenti venivano visti tutt’altro che di buon occhio: si parlava, allora, della necessità di diversificare le nomine quanto più possibile per evitare i rischi connessi al personalismo e alla sovraesposizione sulla scena politica. Pare ora, dalla reazione della scena politica, che di tale ottica si sia persa traccia, e del resto i soggetti che recitano sul palcoscenico sono rimasti sostanzialmente gli stessi. Stessa rimane, si conserva, la nostra opinione: l’esperienza politica è materia impalpabile, volatile e confondibile come poche altre, e poche cose in Italia sono deleterie come le nomine di stampo politico a cariche di forte contenuto tecnico.

Altresì, è inutile nascondersi che la politica locale spesso funge da trampolino di lancio per più alte ambizioni personali e personalistiche. Negli anni ’90, mi capitò di chiedere al candidato sindaco di Cervignano Mauro Travanut se avrebbe usato l’eventuale (si fa per dire) elezione a primo cittadino come trampolino di lancio per le politiche di lì a sei mesi. La risposta di Travanut fu lapidaria, e cioè che la candidatura a sindaco avrebbe comportato un impegno a tempo pieno, e che non ci sarebbe stata da parte sua alcuna candidatura alle successive elezioni alla Camera. Poi, piuttosto ovviamente, il buon Travanut Mauro cambiò idea e si candidò – e perse contro Collarini (correva l’anno 1994).

Esempi. Esempi che ci portano ad approvare con grandissimo favore norme che disperdano pure un po’ di “esperienza” a favore della trasparenza. Va bene che la riforma Moratti ha massacrato sopra ogni altra materia la storia: noi ricordiamo bene però come una delle norme di base della Repubblica Romana (e nelle facoltà di Giurisprudenza si studia ancora di  Diritto Romano) vi era l’impossibilità di accentrare cariche da una parte, e la non ripetibilità ad libitum delle stesse. Mantenendo e anzi stringendo i cordoni attorno alla seconda (che pure sussiste anche ai nostri giorni), andrebbe puntata assai maggiormente l’attenzione sulla prima – se non permettevano essere Consoli e Tribuni della Plebe allo stesso tempo, qualche motivo i romani l’avranno pure avuto.

E anzi, una profonda riflessione sul fatto che un soggetto col diploma di scuola media inferiore o un impiegato di un consorzio contadino, per il solo fatto di avere una tessera politica in tasca, possa sedere nel Consiglio di Amministrazione di una struttura complessa e delicata come un Aeroporto od un Istituto di credito col solo supporto di una non meglio specificata “esperienza”, sarà sempre il momento di iniziare a farla.

Ed anzi-bis: abbiamo delle idee anche su come andrebbero riviste le norme che permettono la candidatura alla carica di sindaco, visto che la politica italiana, al contrario del pesce, inizia a puzzare dalla coda. Ma sono idee catoniane, e ce le riserviamo per una successiva occasione di ceterum censeo…