"Giorgio Morandi - sottolinea Fergonzi - rappresenta un caso limite nell'arte italiana del Novecento". Si concentrò esclusivamente, per tutta la vita, sui due generi della natura morta e del paesaggio, "declinandoli - prosegue Fergonzi - con minime varianti; si autoconfinò, con orgoglio, entro una pratica di mestiere tradizionale, la pittura da cavalletto e l'incisione ad acquaforte, ed entro un orizzonte culturale di provincia, quello bolognese, senza viaggi a Parigi o conversioni moderniste". Fu tuttavia considerato, dalla critica e dalla storiografia, "l'unico artista italiano - ricorda Fergonzi - capace di dialogare con la linea più alta della pittura europea del suo secolo, quella che va dal postimpressionismo a Pollock e a Burri". Nell'ultimo tratto della sua vita esercitò inaspettate influenza sulle poetiche dell'arte informale e, dopo la morte, di quella minimale e concettuale.
"Per la caparbia autoreferenzialità della sua pittura - conclude Fergonzi -, Morandi è un tipico pittore per pittori: e fu particolarmente amato da quella critica d'arte, da Roberto Longhi a John Rewald, convinta del primato formale, linguistico, della ricerca pittorica. Le più recenti indagini degli storici dell'arte hanno così, per lo più, cercato di ricostruire il contesto culturale in cui Morandi operò; e le ragioni della sua fortuna presso letterati, collezionisti e musei internazionali".