[img_assist|nid=11866|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]UDINE - Una prostituta dell’Est sul proscenio del Teatro Palamostre. Vestita completamente di bianco, con una maschera in volto, gambe flessuose e lunghissime e un corpetto ciucciato che lascia trasparire un addome piatto da ventenne.
Cammina in modo stanco, svogliato sulle assi, con delle zeppe altissime che – clop clop - fanno rumore per tenere desta l’attenzione. Rumore secco e disturbante che fa da sottofondo alla pioggia incessante. Canta le hits d’amore del repertorio italiano e internazionale, lo fa per sentirsi occupata mentre attende un cliente; di tanto in tanto si rivolge al pubblico, fuori scena, schernendo un guardone che la osserva con curiosità malata.
Inizia così, in questo modo diretto, forte, efficacissimo, lo spettacolo 1989 – Crolli di Serena Sinigaglia, una collaborazione tra A.T.I.R. – Milano, Mittelfest e Teatro Club di Udine. Pensieri, testimonianze, immagini, parole intorno ai crolli; è questo il sottotitolo che ne sottolinea il carattere totalmente frammentario e indirizza lo spettatore alla visione di un collage di momenti-eventi tenuti insieme dal sottile filo rosso del cambiamento sociale, attraverso la lente d’ingrandimento delle grandi lotte per l’indipendenza e la liberazione della recente storia dell’umanità.
In scena i più grandi mutamenti socio-politici degli ultimi vent’anni: il crollo del muro di Berlino, la fine della dittatura in Romania, la rivolta di piazza Tien-An-Men, l’assassinio della giornalista russa Anna Politkovskaja. In scena, soprattutto, grandi domande che affiorano con prepotenza dagli eventi in sé: cos’è l’informazione? Come ci poniamo di fronte a ciò che ci propongono i media? Abbiamo uno spirito critico? Perché gli ideali rivoluzionari sono naufragati nella (non)cultura di massa, nel consumismo sfrenato[img_assist|nid=11867|title=|desc=|link=none|align=right|width=435|height=640] (patologico)? L’inizio, in tal senso, oltre che una notevole forza d’impatto, riassume con perfetta sintesi ciò a cui si è ridotto il mondo attuale: una società dell’apparenza, svuotata di passione e sincera moralità, in cui tutto è vendibile perché tutto ha un acquirente; una società in cui tutti noi stiamo a guardare con rassegnazione più o meno spinta, anzi divertiti del fatto che magari non tocchi a noi (fin quando, poi, non ci tocca realmente) e dove niente, neanche i vocaboli più intimi e profondi – come amore e amicizia- sono rivestiti del significato che gli è proprio.
Ormai siamo parole dissociate, dette con superficialità solamente per abbellire, renderci migliori agli occhi degli altri. Non ci rendiamo conto che in realtà siamo malati, assuefatti dal potere pubblicitario, ignoranti e, cosa più grave, che ci va benissimo così.
Purtroppo, di quegli anni di rivoluzioni e lotte per il miglioramento sono rimaste ancora tantissime macerie, che ci hanno restituito delle città molto più belle e vivibili, ma non hanno reso buon servizio all’integrità dei valori sociali della persona.
Chi era quel ragazzo in piazza a Tien-An-Men che è ha trovato il coraggio di mettersi davanti ai carri armati e bloccarne l’avanzata in una surreale danza di morte? Nessuno ne conoscerà mai l’identità, ma rimarrà per sempre il simbolo di una grande lezione d’umanità che noi abbiamo trascurato. Ora ci aspettano altre, ancora più difficili, rivoluzioni.
Una serata da pugno allo stomaco e alla coscienza personale e collettiva, ma assolutamente imperdibile per chi ama il teatro di riflessione: ben diretto, scritto e recitato ottimamente da Fabio Chiesa, Mattia Fabris, Matilde Facheris, Stefano Orlandi e Marcela Serli.