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Lina, tra segreti e introspezione

Sipario
[img_assist|nid=15938|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]UDINE - Uno scomodo passato chiuso dietro a una porta. Un'introspezione difficile e dolorosa che non vuole emergere attraverso la ragione e risorgere dalle parole per raggiungere la pace. Una pace possibile. Totale. Assoluta. Una costante di tante persone l'incapacità di scavare in fondo al pozzo, dentro se stessi, per liberarsi dagli incubi di vita vissuta. Lina lo fa, anche se non in modo del tutto spontaneo.   Il personaggio portante dello spettacolo titolato Lina - quella che fa brutti sogni, in scena al Palamostre di Udine il 14 e 15 novembre, condensa il malessere fisico e psicologico di un trauma sottolineando non solo una situazione, ma anche un periodo storico importante. La trama delinea la storia di una bambina  nata e cresciuta nei quartieri della Napoli più povera e sbandata dove “esistono mille buchi e nessuna porta”, dove tutti si intrufolano nella vita di tutti. Storie di Mafia, di povertà assoluta e di voglia di riscatto quando non ci si abbandona alla sorte. Lina fa proprio questo, si lascia prendere per mano dal suo destino. Senza combattere, senza reagire. Trova rifugio dall'indigenza nella casa di un maresciallo dei carabinieri che la accoglie come domestica. Ma dietro la facciata di perbenismo ci sono gli abusi consumati dietro a una porta ben chiusa. La stessa porta che bloccherà in un cassetto della memoria anche il suo passato (e che riempie, forte di una simbologia metaforica, la scenografia, ndr). Lina, nel frattempo, rimane incinta di un ragazzo che morirà assassinato. Per farla partitore lontano da occhi indiscreti il  maresciallo trasloca a Firenze, assieme alla moglie morente. L'uomo si risposa ma continua la[img_assist|nid=15939|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=427] sua relazione malata con Lina. Chiusa in casa per mesi la donna dà alla luce Giulietta, la sua creatura. Una creatura segnata da un destino truce. Il maresciallo, infatti, abuserà di lei. Lina lo scopre, vede tutta la crudeltà del gesto nel corpo esile e nudo della figlia che scappa da quella tortura fisica e psicologica. Lina non ci pensa due volte e prende la pistola. Spara, lo uccide. Per lei non rimane che il manicomio criminale. Un luogo dove convive per anni con i suoi incubi che la fanno urlare la notte. Solo i farmaci riescono a placare questa irrequietezza e questo dolore recondito. Pasticche che hanno sostituito terapie ben più spietate come l'elettrochoc. Il contesto storico e sociale, infatti, è quello degli anni della legge Basaglia. Dottori che cominciano a contemplare il concetto di umanità applicato ai pazienti. Una rivoluzione sociale che porta alla scoperta di tante storie ma, soprattutto, di persone nascoste, sotterrate dentro le mura di locali inaccessibili. La legge 180 che chiuse i manicomi rappresentò, per molte persone, la riconquista della dignità. In questa storia c'è tutta l'Italia di allora. Nello spettacolo le relazioni tra i personaggi, Lina, il maresciallo, l'infermiera, il dottore e Giulietta, risultano articolate ma armoniche. Delineano lo sviluppo della trama  in modo sottile e deciso. Il testo di Massimo Salvianti, vincitore del Premio ExtraCandoni, che ha debuttato al Mittelfest di Cividale quest'anno, è sapientemente diretto da Pierpaolo Sepe e interpretato da Fulvia Carotenuto, Andrea Manzalini, Irma Ciaramella, Emanuela Lumare e Marco Natalucci. Come sostiene Sigmund Freud La rimozione è uno stadio preliminare della condanna, qualcosa che sta a metà tra la fuga e la condanna, Lina ci aiuta a capire proprio questo.   Foto di Massimo Agus