Error message

Il file non può essere creato.

Storie di ordinario dolore dalla periferia al mondo: Ettore Mo nelle Messaggerie di Forirotta 2009

InConTri
UDINE – Tra gli ospiti più attesi della quinta edizione, sarà sabato 7 novembre a Fuorirotta il giornalista Ettore Mo, storica firma del Corriere della Sera, per presentare – alle Messaggerie, alle 17 – il suo ultimo Lontani da qui. Storie di ordinario dolore dalla periferia al mondo, da poco in libreria per Rizzoli. 
Dall’Afghanistan al Nicaragua, dalla Liberia al Messico, dalla Cambogia a Cuba: il decano dei corrispondenti di guerra è tornato nelle terre insanguinate dai conflitti degli ultimi decenni,  ripercorrendo i luoghi da cui aveva mosso i suoi primi passi come inviato.
Ettore Mo, conversando con il collega Paolo Medeossi, ci accompagnerà, come scrive nel libro, in una lunga, estenuante escursione lungo la faccia buia delle Terra per conoscere i drammi più oscuri dell’umanità. La povera gente di Monrovia che festeggia Natale e Capodanno al cimitero, bevendo, mangiando e dormendo accanto alle tombe dei defunti; gli emigranti messicani che inseguendo il sogno di raggiungere l’America corrono il rischio di farsi mozzare le gambe dai treni merci; gli abitanti di La Oroya, in Perù, avvolti da un’apocalittica polvere di piombo, zinco, zolfo e arsenico emessa dalla “fonderia della morte” al centro della cittadina; la strage di civili nella terra Tamil; le favelas del terrore di Caracas e i figli della Revolución cubana in fuga da una realtà immiserita e senza scampo sono raccontati in prima persona, in uno stile sofferto - tra memoir e reportage - come solo i grandi inviati sanno fare. Lontani da qui è infatti anche il resoconto doloroso e commovente di una vita intera trascorsa attraversando paesi spesso devastati da endemiche conflittualità.
Il grande reporter, che ha visto guerre, miseria e morte intorno a sé, ci ricorda che questo mondo perduto in realtà non è “lontano da qui”, ma bussa continuamente alle nostre porte. A Lampedusa, in Sardegna, in Spagna, in Sicilia, ovunque possa attraccare un barcone, una zattera carica di profughi. Niente sembra poter fermare – scrive Mo – questa massa di povera gente che dai deserti dell’Africa affronta i rischi di un viaggio verso l’ignoto nella speranza (se non la certezza) di trovare in questo mondo sconosciuto un’esistenza migliore. E quasi in un simbolico passaggio di consegne tra grandi inviati, Mo cita Bilal, il reportage di Fabrizio Gatti, Premio Terzani 2008, che si era travestito da immigrato ed era entrato clandestinamente in Italia, dopo aver attraversato il deserto del Niger, sulla rotta della tratta dei nuovi schiavi. E insieme a Gatti, proprio nelle ultime righe del libro, ricordando i versi di una poesia che Alda Merini aveva dedicato nel 2008 a Lampedusa, Mo invita tutti noi a rispondere a questa sfida, a prendere coscienza, se non di ciò che accade lontano da qui, almeno di quanto succede quotidianamente intorno a noi, per scongiurare una volta per tutte la drammatica conclusione della poesia di Alda Merini: e così migliaia di uomini sono calati a picco, in fondo al mare.