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Khaled, un rai di luce sul castello

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[img_assist|nid=8549|title=|desc=|link=none|align=left|width=130|height=130]UDINE - Mercoledì 18 luglio 2007, piazzale erboso del castello di Udine, ore 21. Sta per cominciare il concerto di Khaled. Sì proprio lui, Hadj Brahim Khaled, forse il più famoso algerino in circolazione. Certamente il più famoso cantante di pop rai dell’ex colonia francese.

Quando a Orano, dove era nato nel 1960, cominciò a cantare nei matrimoni e in occasione delle circoncisioni, chiedeva allegramente al pubblico un’opinione (rai) sui contenuti delle sue canzoni che parlavano di libertà, amicizia, amore e anche di donne. Amato dalla gente, guardato con sospetto dalle autorità, detestato dai fondamentalisti, nel 1986 si trasferì in Francia. Oggi, in Europa e America è diventato simbolo di ribellione e libertà di pensiero, ma senza ideologismi. Destino interessante per un mussulmano! Altrettanto singolare la sua musica, un mix ben congegnato di sonorità nordafricane, spagnole, francesi ed anglosassoni, cadenzate in arabo o addolcite dalla lingua francese.

Con qualche scantonamento anche nel reggae e in altri generi. Una paella dai colori variopinti e dai gusti contrapposti, ma sempre ben assortiti. Altrettanto eclettico il pubblico non proprio numeroso che, con il fiatone per la salita, raggiunge il piazzale del castello: algerini con i capelli ricci, cinquantenni brizzolati con orecchino, qualche raro codino con elastico, veterofemministe ossute, giovani un po’ spaesati e finalmente un buon numero di intenditori felici per la scelta degli organizzatori. Si comincia. Il complesso attacca da solo e, dopo qualche minuto interminabile, dall’oscurità appare Khaled, sornione e un po’ appesantito. Da come è vestito, potrebbe essere un magrebino che ci vende il solito kebab troppo farcito. Ma appena il microfono accoglie la sua voce profonda, la piazza si trasmuta. Il caldo umido diventa una brezza elettrica; la luna, anzi la mezzaluna sul cielo diafano di Udine sembra vibrare. I numerosi algerini balzano letteralmente sotto il palco, quasi invocandolo e agitando una bandiera rossa con una grossa stella. Le note della canzone si spandono a onde e si avviluppano intorno al campanile della chiesa di Santa Maria con l’angelo che punta perentorio il dito verso sud. Khaled sorride alle mani alzate davanti a lui, agita la testa con grazia, rotea gli occhi, diventa complice delle chitarre elettriche alla Santana e strizza l’occhio alla batteria che rockeggia sullo sfondo. Per un’ora e mezza snocciola il suo[img_assist|nid=8550|title=|desc=|link=none|align=right|width=640|height=479] miglior repertorio, una sorta di storia della contaminazione tra stili diversi, fusione felice di tradizione araba, funky e pop europeo. Quando intona Didi che nel 1992 gli fece vendere oltre un milione di copie, un brivido scorre sulle nostre schiene: è il Khaled della world music, quella conosciuta da Capo Nord a Marsala. Le note di Aicha rimbalzano e rotolano sui tetti addormentati di Udine in questa notte torrida. N’ssi N’ssi sembra un’invocazione lanciata nell’etere. Il suono e le parole arabe fanno emergere ciò che di orientale è nascosto tra le pietre della città. Per un momento lo scontro tra civiltà appare un brutto sogno, un fantasma inventato dalla politica. La musica unisce, affratella e rende gli uomini migliori: il messaggio di Cheb, il giovane di Orano è percepito da tutti i presenti. Le facce si distendono, i cuori si aprono, gli occhi brillano. Bravo Khaled!