PORDENONE - Compie 80 anni
La Grazia, una delle ultime pellicole mute del cinema italiano, tratta da una novella e un libretto d’opera di Grazia Deledda, con la regia Aldo De Benedetti. Un melodramma a tinte forti: passione, tradimento, vendetta, perdono e redenzione legati alla cultura sarda attraverso una raffinata operazione di ardito adattamento visivo.
Il film, uscito nel novembre del 1929, che Alessandro Blasetti definì “un capolavoro”, è stato restaurato su supporto digitale (dvd, con 4 extra) dal quotidiano L’Unione Sarda, su progetto di Sergio Naitza, direttore artistico del festival Lagunamovies di Grado, e Susanna Puddu, con l’aggiunta di una colonna sonora originale affidata al maestro Romeo Scaccia, registrata con l’Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari. A celebrare l’importante anniversario del film saranno le Giornate del Muto 2009 di Pordenone, che nella giornata di lunedì 5 ottobre ospitano (ore 14.30, Sala Ridotto del Teatro Verdi) la proiezione del film. L’occasione, dunque, per ritrovare una pellicola che, senza questo restauro, il cinema italiano avrebbe senz’altro perduto. Prima de
La Grazia Aldo De Benedetti aveva diretto altri due film muti,
Marco Visconti (1925) e
Anita (1927). Poi fu autore di numerose commedie brillanti e d’evasione: drammaturgo per il teatro abile in perfetti congegni narrativi (
Due dozzine di rose scarlatte, Trenta secondi d’amore) e sceneggiatore di vaglia del cinema dei telefoni bianchi e per i film di Blasetti, De Sica, Mattoli, Bragaglia, Bonnard, Germi, Matarazzo, Castellani. Ha firmato oltre 300 sceneggiature, tra cui
Quattro passi fra le nuvole, Maddalena zero in condotta, Teresa venerdì, Catene, Tormento, Sotto il cielo di Roma. Ne
La Grazia, storia del giovane Elias che arriva in un paese di montagna della Sardegna e si innamora della pastorella Simona, il pubblico ritroverà Carmen Boni, diva italiana del cinema muto e per l’occasione impegnata proprio nel ruolo di Simona. Il personaggio della seduttrice, ha lo sguardo maliardo della polacca Ruth Weyher, mentre il ruolo di Elias è affidato a Giorgio Bianchi, divenuto negli anni successivi regista di fama.
Il film
La Grazia poggia su un articolato percorso: letterario, lirico e teatrale. Nel 1894, infatti, Grazia Deledda aveva pubblicato la novella «Di notte», nella raccolta «Racconti sardi». Nel 1921 la novella fu adattata dalla Deledda con Claudio Guastalla e divenne un libretto d’opera pubblicato dalla Ricordi col titolo “La Grazia”. Nel 1923 al Costanzi di Roma debuttò l’opera lirica con le musiche di Vincenzo Michetti. Sei anni dopo ecco la trasposizione cinematografica, affidata appunto alla regia di Aldo De Benedetti: pellicola che non rinuncia alla base melodrammatica tipica della tradizione operistica, e non cancella la traccia della narrativa deleddiana. Per offrire una seconda vita al film e vincere la sfida di conquistare il pubblico contemporaneo, al maestro Romeo Scaccia, compositore e pianista dalle doti interpretative effervescenti maturate tra Cagliari, Budapest e Amsterdam, è stata affidata la composizione della colonna sonora, eseguita dall'orchestra della Fondazione Teatro Lirico di Cagliari. Spiega Scaccia: “
La Grazia può definirsi un film fuori dal tempo. L'espressività, la carica emotiva che permane nei suoi personaggi e nell'azione scenica, suggeriscono e ispirano una musica evocativa anch’essa fuori dal tempo e libera da stilemi musicali predefiniti. Interamente originale, la musica segue il film fondendosi con esso, cogliendo e facendo proprie tutte le sfumature caratteriali dei personaggi, i quali vengono trattati con propri temi che li accompagnano in ogni azione”.
Ne
La Grazia viene messo a fuoco da una parte il mondo pastorale con le pecore, la casa rustica, l’osteria, il paesaggio innevato e squarci del paese, dall’altra il mondo cittadino con la casa della donna-seduttrice dalle moderne architetture. Un cortocircuito visivo fra proletariato e borghesia, fra naturalismo ottocentesco e interni
decò e futuristi, dove c’è la mano di Melkiorre Melis, autore dei bozzetti e dei costumi e la preziosa collaborazione di scenografi di nome come Alfredo Montori, Mario Pompei, Goffredo Alessandrini e la fotografia di Fernando Martini. La Sardegna de
La Grazia è visibilmente falsa, il set non è quello dell’Isola ma delle campagne laziali. Costumi e ambienti citano la radice, la copiano, la stravolgono per ottenere il risultato della similitudine. Una scelta d’interpretazione cinematografica che conserva nella reinvenzione dell’identità isolana una inconsueta forza. Tanto che nel contrasto violento con il mondo futurista, punto d’arrivo dei desideri di un pubblico che inizia a scoprire gli immaginari del cinema americano, il mondo pastorale sardo per quanto bozzettistico diventa un luogo dove la cultura trattiene i suoi aspetti più profondi, lasciando emergere una ricchezza visiva unica.
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